QUI SIAMO SEPOLTI PER SEMPRE / LA BALLATA DEL MILITE IGNOTO
I Gufi, 1968, di Lino Patruno - Walter Valdi
I Gufi sono una leggenda del cabaret milanese
https://www.youtube.com/watch?v=IELrgXUwmBA
Questa meravigliosa poesia rende omaggio al milite ignoto.
Soldati che sono morti in tutte le guerre, combattendo una guerra che non avevano chiesto.
Non importa se fossero i nemici o le vittime.
Sono solo cenere, sono morti per guerre troppo spesso inutili.
Oggi il mondo vede la guerra in Ucraina, iniziata dalla Federazione Russa.
Il mondo è testimone delle orribili atrocità e crimini commessi dalle forze armate russe.
Il mondo è testimone della guerra nello Yemen, dei genocidi in Africa e in Asia.
I loro leader non hanno mai ascoltato questa poesia.
È giunto il momento che lo facciano.
TESTO DI LUIGI LUNARI
Qui siamo sepolti per sempre;
e per noi il mondo si è fermato quel giorno;
qualcuno ci ha pianto,
qualcuno ogni tanto ci ricorda ancora.
Ma a pochi passi da qui,
a pochi passi da dove, dicono gli altri,
‟riposiamo in pace”,
le automobili sfrecciano sulle grandi strade asfaltate.
I bambini irrequieti al finestrino di dietro,
il canotto rosso o gli sci sul tetto.
Qualcuno scorge, discreto dietro i pini e le siepi,
mille croci bianche.
«Un cimitero militare. Pensa, quanti morti!».
Poi via, un colpo d’acceleratore, verso il weekend.
Sulla mia croce non c’è scritto niente;
al mio corpo carbonizzato sotto un carro armato
nessuno ha saputo dare un nome.
Esaminate le scarpe, unico elemento riconoscibile,
mi hanno definito ‟unidentified British soldier”,
soldato inglese non identificato.
Invece facevo parte della Wehrmacht;
il mio nome è Richard Grüber, Berlino.
Le scarpe, le mie erano rotte,
le avevo rubate a un morto.
Dovevano solo tenermi i piedi al caldo;
invece, grazie a loro, eccomi qui:
anch’io, per sempre, assieme ai vincitori.
Il mio nome è Jan Piaziński;
un’alfa, un’omega e due date,
tra quelle date, vent’anni.
La guerra mi ha travolto,
sbattendomi dalla mia Polonia a questa Italia,
che avevo sempre creduta piena di sole, di canti e di fiori,
e che ho visto un terribile autunno di pioggia e di fuoco.
Sono morto un giorno, novembre,
colpito da una bomba, per caso.
Sono vissuto, senza avere il tempo di capire.
Sono morto, senza il tempo di accorgermene.
Charlie Wright è il mio nome,
ma siccome ridevo sempre, mi chiamavano Smiley.
Sono nato sulle rive del Mississippi ed ero un povero negro,
trattato a calci e a sputi dai bianchi del mio paese.
Ma un giorno, un uomo bianco venuto da Washington mi ha detto:
«Basta. Siamo tutti uguali, siamo tutti fratelli,
quale che sia il colore della nostra pelle.
Vieni con noi, fratello negro.»
Io sono andato e, ragazzi, era vero!
Viaggiavo con i bianchi, marciavo con i bianchi,
ho avuto l’onore di morire, con i bianchi!
Io, Charlie Wright detto Smiley,
povero negro nato sulle rive del Mississippi
e morto sull’argine di un fossato senza nome,
un giorno di marzo, in Italia.
Queste le nostre voci che, insieme a mille altre,
gl’alberi, i grilli, la luna sentono la notte.
E un giorno le croci cadranno
e si confonderanno con la terra.
E con la terra si confonderanno le ossa,
che ancora non riposano in pace.
Sui prati verranno i bambini
e tra le tante domande dell’infanzia,
forse, anche questa: «Papà, che cos’è la guerra?».
E allora, a spiegare che un tempo,
ma tanto tanto tempo fa,
gli uomini si… si ammazzavano;
si schieravano gli uomini di una tribù,
di una città, di uno stato, «Che cos’è uno stato?»
o di un continente,
di fronte agli uomini di un’altra tribù, di un’altra città,
di un altro stato, di un altro continente;
e con i fucili, «Che cosa sono i fucili?»
e con i cannoni, «Che cosa sono i cannoni?»
e con le bombe, «Che cosa sono le bombe?»
e… e si ammazzavano.
E questa è la guerra.
«Sì, ma perché, papà? Perché?»
E noi allora faremo silenzio e staremo attenti.
E forse allora sapremo anche noi, finalmente, perché.
~~~
TESTO DI WALTER VALDI
Non mi ricordo in quale guerra,
in quale cielo, in quale mare,
o forse era un palmo di terra
che io dovevo conquistare.
Una bandiera sventolava,
ma non ricordo più il colore;
quel giorno mi toccò morire,
non mi ricordo più per chi.
Ricordo solo il mio primo amore,
ch’era lontano ad aspettare
e che piangeva lacrime amare,
il giorno ch’io partii per non tornare più.
Ero vestito da soldato,
ma il resto l’ho dimenticato;
non so neppure più il colore
della mia pelle quale fu.
Non so in che tempo son vissuto,
non so se ho vinto o se ho perduto,
so che ho gridato per l’onore,
ma non ricordo più di chi.
Ricordo solo il mio primo amore,
ch’era lontano ad aspettare
e che piangeva lacrime amare,
il giorno ch’io partii per non tornare più.
Sulla mia tomba non c’è nome,
io stesso l’ho dimenticato;
c’è un monumento di granito
ed un elmetto da soldato.
Ci sono scritte tante parole,
ma non so più il significato;
e c’è una fiaccola che brucia
e che per sempre brucerà.
Che bruci solo per il mio amore,
ch’era lontano ad aspettare
e che piangeva lacrime amare,
il giorno ch’io partii per non tornare più.
Che bruci solo per il mio amore,
ch’era lontano ad aspettare
e che piangeva lacrime amare,
il giorno ch’io partii per non tornare più.
Che bruci solo…
I Gufi, 1968, di Lino Patruno - Walter Valdi
I Gufi sono una leggenda del cabaret milanese
https://www.youtube.com/watch?v=IELrgXUwmBA
Questa meravigliosa poesia rende omaggio al milite ignoto.
Soldati che sono morti in tutte le guerre, combattendo una guerra che non avevano chiesto.
Non importa se fossero i nemici o le vittime.
Sono solo cenere, sono morti per guerre troppo spesso inutili.
Oggi il mondo vede la guerra in Ucraina, iniziata dalla Federazione Russa.
Il mondo è testimone delle orribili atrocità e crimini commessi dalle forze armate russe.
Il mondo è testimone della guerra nello Yemen, dei genocidi in Africa e in Asia.
I loro leader non hanno mai ascoltato questa poesia.
È giunto il momento che lo facciano.
TESTO DI LUIGI LUNARI
Qui siamo sepolti per sempre;
e per noi il mondo si è fermato quel giorno;
qualcuno ci ha pianto,
qualcuno ogni tanto ci ricorda ancora.
Ma a pochi passi da qui,
a pochi passi da dove, dicono gli altri,
‟riposiamo in pace”,
le automobili sfrecciano sulle grandi strade asfaltate.
I bambini irrequieti al finestrino di dietro,
il canotto rosso o gli sci sul tetto.
Qualcuno scorge, discreto dietro i pini e le siepi,
mille croci bianche.
«Un cimitero militare. Pensa, quanti morti!».
Poi via, un colpo d’acceleratore, verso il weekend.
Sulla mia croce non c’è scritto niente;
al mio corpo carbonizzato sotto un carro armato
nessuno ha saputo dare un nome.
Esaminate le scarpe, unico elemento riconoscibile,
mi hanno definito ‟unidentified British soldier”,
soldato inglese non identificato.
Invece facevo parte della Wehrmacht;
il mio nome è Richard Grüber, Berlino.
Le scarpe, le mie erano rotte,
le avevo rubate a un morto.
Dovevano solo tenermi i piedi al caldo;
invece, grazie a loro, eccomi qui:
anch’io, per sempre, assieme ai vincitori.
Il mio nome è Jan Piaziński;
un’alfa, un’omega e due date,
tra quelle date, vent’anni.
La guerra mi ha travolto,
sbattendomi dalla mia Polonia a questa Italia,
che avevo sempre creduta piena di sole, di canti e di fiori,
e che ho visto un terribile autunno di pioggia e di fuoco.
Sono morto un giorno, novembre,
colpito da una bomba, per caso.
Sono vissuto, senza avere il tempo di capire.
Sono morto, senza il tempo di accorgermene.
Charlie Wright è il mio nome,
ma siccome ridevo sempre, mi chiamavano Smiley.
Sono nato sulle rive del Mississippi ed ero un povero negro,
trattato a calci e a sputi dai bianchi del mio paese.
Ma un giorno, un uomo bianco venuto da Washington mi ha detto:
«Basta. Siamo tutti uguali, siamo tutti fratelli,
quale che sia il colore della nostra pelle.
Vieni con noi, fratello negro.»
Io sono andato e, ragazzi, era vero!
Viaggiavo con i bianchi, marciavo con i bianchi,
ho avuto l’onore di morire, con i bianchi!
Io, Charlie Wright detto Smiley,
povero negro nato sulle rive del Mississippi
e morto sull’argine di un fossato senza nome,
un giorno di marzo, in Italia.
Queste le nostre voci che, insieme a mille altre,
gl’alberi, i grilli, la luna sentono la notte.
E un giorno le croci cadranno
e si confonderanno con la terra.
E con la terra si confonderanno le ossa,
che ancora non riposano in pace.
Sui prati verranno i bambini
e tra le tante domande dell’infanzia,
forse, anche questa: «Papà, che cos’è la guerra?».
E allora, a spiegare che un tempo,
ma tanto tanto tempo fa,
gli uomini si… si ammazzavano;
si schieravano gli uomini di una tribù,
di una città, di uno stato, «Che cos’è uno stato?»
o di un continente,
di fronte agli uomini di un’altra tribù, di un’altra città,
di un altro stato, di un altro continente;
e con i fucili, «Che cosa sono i fucili?»
e con i cannoni, «Che cosa sono i cannoni?»
e con le bombe, «Che cosa sono le bombe?»
e… e si ammazzavano.
E questa è la guerra.
«Sì, ma perché, papà? Perché?»
E noi allora faremo silenzio e staremo attenti.
E forse allora sapremo anche noi, finalmente, perché.
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TESTO DI WALTER VALDI
Non mi ricordo in quale guerra,
in quale cielo, in quale mare,
o forse era un palmo di terra
che io dovevo conquistare.
Una bandiera sventolava,
ma non ricordo più il colore;
quel giorno mi toccò morire,
non mi ricordo più per chi.
Ricordo solo il mio primo amore,
ch’era lontano ad aspettare
e che piangeva lacrime amare,
il giorno ch’io partii per non tornare più.
Ero vestito da soldato,
ma il resto l’ho dimenticato;
non so neppure più il colore
della mia pelle quale fu.
Non so in che tempo son vissuto,
non so se ho vinto o se ho perduto,
so che ho gridato per l’onore,
ma non ricordo più di chi.
Ricordo solo il mio primo amore,
ch’era lontano ad aspettare
e che piangeva lacrime amare,
il giorno ch’io partii per non tornare più.
Sulla mia tomba non c’è nome,
io stesso l’ho dimenticato;
c’è un monumento di granito
ed un elmetto da soldato.
Ci sono scritte tante parole,
ma non so più il significato;
e c’è una fiaccola che brucia
e che per sempre brucerà.
Che bruci solo per il mio amore,
ch’era lontano ad aspettare
e che piangeva lacrime amare,
il giorno ch’io partii per non tornare più.
Che bruci solo per il mio amore,
ch’era lontano ad aspettare
e che piangeva lacrime amare,
il giorno ch’io partii per non tornare più.
Che bruci solo…
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